il manifesto on the war and labour

rc-am rcollins at netlink.com.au
Wed Apr 28 22:16:38 PDT 1999


Ferruccio Gambino IL MANIFESTO [trans of excerpts, original in full below]

"The Kosovo crisis has offered the United States such advantages for making their presence felt as to prove irresistible. With the further dismemberment of Yugoslavia, Washington can, with one blow: strengthen Germany's privileged partner, anti-fundamentalist Islamic Turkey; humiliate the Russians; seal the loyalty of the new NATO members Poland, Hungary and the Czech Republic through a baptism of fire; and finally, teach a lesson to the Eurocrats. Tomorrow may bring other tangible benefits.

"In the face of the cycles of US-led aggression over the last 15 years, can so-called "Europe" continue to follows, seeking to detach itself from a vicious [cattivona] Washington? To me it seems that, notwithstanding some mournful cries from the stockmarkets, financial and industrial Europe finds the present situation adequate. Certainly, in this conjuncture infra-imperial rivalries have been muffled; but the sudden depreciation of some millions of potential migrants, with their dramas and their metamorphosis into homeless, refugee labour-power, represents all the same an occasion to further restructure the so-called labour market. The refugee camps in Albania must not become a self-serve for those in search of a cut-price workforce. And Albania must not become a dormitory or barracks, neither for refugees nor citizens. Faced with the destablisation of entire populations, the substantial silence of the European unions is deafening."

[trans. steve wright pmargin at xchange.anarki.net ___________________________________________ [il manifesto] 08 Aprile 1999 USA PERCHE' QUESTA GUERRA?

Quindici anni di "stati furfanti"

Da Grenada alla Serbia: le aggressive invenzioni americane

- FERRUCCIO GAMBINO -

M olti sembrano dimenticare oggi che al di sopra di un certo reddito non c'è il rischio di guerre etniche. Al contrario, le file di persone in cerca di incolumità, tetto e cibo, tendono a separarsi e a scontrarsi sotto bandiere etniche. A lungo, lo spettacolo, più telematico che reale per gli europei, è avvenuto su altro palcoscenico: prima nel Golfo persico (1990-91), poi nella regione dei Grandi laghi africani (1994), dove l'assassinio di circa un milione di persone - il maggiore sterminio dopo la seconda guerra mondiale - si è consumato nel corso di quattro mesi nell'indifferenza di un mondo che lo rimuoveva come frutto di incompatibilità etnico-religiose; ma nel 1995 persino un rapporto della Cia sull'Africa scartava la favola, offrendo una spiegazione più materialista, in cui comparivano le carestie, la siccità, la mancanza di terre arabili, la densità demografica. Erano queste le variabili che venivano giocate nella rivalità tra Stati uniti e Francia attorno alla nuova spartizione dell'Africa centrale.

Com'è noto da tempo, lo smembramento della Jugoslavia è frutto di un analogo isolamento e abbandono economico da parte del Fondo monetario internazionale e anche di un'Unione europea accodata alle indicazioni del Vaticano e dei cristiano-sociali bavaresi. La diplomazia statunitense non ha fatto altro che infilarsi in una porta già aperta dalle cancellerie Euro, volgendo a proprio vantaggio le secessioni etnico-religiose europee che essa per la sua storia e tradizione aveva a lungo disdegnato. Nel 1846, alla formazione di un Esercito di liberazione di El Paso da parte dei "messicani etnici" gli Stati uniti dichiararono guerra al Messico, inviarono l'esercito in Texas, bloccarono la secessione e ripresero il territorio. Il presidente si chiamava Polk, non Milosevic. Per contro, la crisi etnica del Kosovo e lo smembramento di quel che rimane della Federazione jugoslava tornano utili per ridisegnare la mappa dell'Occidente.

Sequenze belliche

Oggi gli Stati uniti conducono una guerra nei Balcani, un'area politicamente e militarmente nuova per loro, riproponendo una sequenza che essi hanno collaudato negli ultimi quindici anni con gli "stati furfanti". Questo termine è vago. Per definizione le grandi potenze non possono essere considerate stati furfanti. Grosso modo, due sono le dimensioni essenziali della furfanteria: esiguità territoriale e ostilità al liberismo. Oggi il più furfante degli stati appare la Jugoslavia di Milosevic, benché il business internazionale vi abbia concluso ottimi affari.

L'iter delle ostilità contro di loro è dato: altalena di proposte perentorie e di minacce di ricorso alle armi, sanzioni economiche, interruzione dei contatti, spettacolari tentativi di conciliazione in extremis, fallimento, adunata di alleati stabili e occasionali a seconda delle circostanze, attacco aereo e missilistico per alcune settimane, dichiarazione di asserita inadeguatezza dell'attacco aereo. A quel punto, se Washington ha così deciso, cominciano le operazioni terrestri, non prima di un'intensa preparazione dell'opinione pubblica alla guerra.

Nel corso degli anni si sono date alcune varianti. Nel caso di paesi particolarmente piccoli, come Grenada (1983) e Panama (1989), si saltano a pie' pari i negoziati e si punta direttamente all'invasione; nel caso di obbiettivi limitati, come in Libia (1986), bastano i bombardamenti. Sempre una parte della popolazione viene sfollata e destabilizzata. In via alternativa o complementare, Washington catalizza la guerra partigiana, potenziando le guerriglie locali e ricalcando a suo modo l'esempio dei vietcong: Nicaragua e Afghanistan. Di questi tempi, la possibile scelta statunitense contro Belgrado è l'intervento delle truppe di terra di alcuni paesi della Nato o il riarmo dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), oppure il coordinamento delle truppe Nato e dell'Uck. Finora i bombardamenti aerei non hanno fermato la persecuzione etnica; hanno però annichilito l'opposizione interna al regime di Milosevic. E non si può escludere che Belgrado impieghi come carne da cannone in prima linea i giovani della minoranza ungherese della Vojvodina, vendicandosi a suo modo dell'ingresso dell'Ungheria nella Nato e coinvolgendo nel suo inferno quanti più vicini possibile.

Quali tornaconti

Nell'occasione dellacrisi del Kosovo, il tornaconto per gli Stati uniti è talmente alto da rendere irresistibile la tentazione della loro presenza. Con l'ulteriore smembramento della Jugoslavia, Washington può in un colpo solo rafforzare la Turchia islamica, antifondamentalista e partner privilegiata della Germania degli affari, mortificare i russi, saggiare con il battesimo del fuoco la lealtà di Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, matricole della Nato, e infine impartire una lezione agli eurocrati. Domani potranno venire altri benefici tangibili.

A fronte di cicli di aggressività a guida statunitense che si ripetono da quindici anni, si può continuare a inseguire la cosiddetta "Europa", cercando di staccarla da una Washington cattivona? A me pare che all'Europa finanziaria e industriale, pur con qualche flebile strillo di borsa, il presente assetto appaia adeguato. Di certo, in questa congiuntura le rivalità infraimperiali sono state ovattate; ma la svalutazione improvvisa di alcuni milioni di potenziali migranti, con i loro drammi e la loro metamorfosi in forza-lavoro sfollata e senza un tetto, rappresenterà pur sempre un'occasione per ristrutturare ulteriormente il cosiddetto mercato del lavoro. I campi di profughi in Albania non possono essere un self-service per chi è a corto di manodopera a buon mercato. E l'Albania non può diventare un dormitorio o una caserma né per i profughi né per i cittadini. Di fronte alla destabilizzazione di intere popolazioni il sostanziale silenzio dei sindacati europei è assordante.

---fwd from list aut-op-sy at lists.village.virginia.edu ---



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