<http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq69/bodv/bodv.html>
L'INCHIESTA/ La missione del direttore del Sismi negli States per accreditare l'acquisto di materiale nucleare da parte di Saddam
"Pollari andò alla Casa Bianca per offrire la sua verità sull'Iraq"
Il dossier sull'uranio dal Niger non coinvolgeva la Cia di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO
ROMA - Per Nicolò Pollari, direttore del Sismi, le regole del suo mestiere sono inequivoche. Dice a Repubblica: "Sono il direttore dell'intelligence e il mio solo interlocutore istituzionale, dopo l'11 settembre, è stato a Washington il direttore della Cia, George Tenet. Come è ovvio, io parlo soltanto con lui...". Ma è proprio vero che le nostre barbefinte hanno lavorato soltanto con la Cia? Oppure hanno sostenuto anche gli sforzi clandestini dell'intelligence parallela creata da Dick Cheney e Paul Wolfowitz con il "gruppo Iraq", l'Office for Special plans del Pentagono, l'ufficio del consigliere per la Sicurezza nazionale, determinatissimi a trovare le prove utili per il "cambio di regime" a Bagdad?
È un fatto che, alla vigilia della guerra in Iraq e con la supervisione del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Gianni Castellaneta (oggi ambasciatore negli Usa), il direttore del Sismi organizza a Washington la sua agenda con lo staff di Condoleezza Rice, in quegli anni consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Repubblica è in grado di documentare questo doppio binario del governo e dell'intelligence italiana. Almeno uno degli incontri "molto poco istituzionali" di Pollari e, come dicono gli agenti segreti, la "realizzazione di un sistema" che tiene insieme Governo - Intelligence - Informazione.
Breve riepilogo. Il Sismi di Nicolò Pollari vuole accreditare l'acquisto iracheno di uranio grezzo per fabbricare una bomba nucleare. Lo schema del gioco è alquanto trasparente. Le carte "autentiche" su un tentativo di acquisto in Niger (vecchia "intelligence" italiana degli anni Ottanta) le porta in dote il vicecapo del Centro Sismi di Roma (Antonio Nucera). Vengono affastellate con altra cartaccia costruita alla bell'e meglio con un furto simulato nell'ambasciata del Niger (se ne ricavano carta intestata e timbri). I documenti vengono mostrati dagli uomini di Pollari agli agenti della stazione Cia di Roma mentre un "postino" del Sismi, un tale di nome Rocco Martino, li consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove.
È la prima istantanea. Torna utile per raccontare il secondo capitolo del Grande Inganno organizzato in Italia per costruire la necessità di un intervento militare in Iraq. Lo abbiamo già visto. Greg Thielmann, ex direttore del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si ritrova sul tavolo il report "italiano" sull'uranio. Non ricorda la data esatta.
Parla genericamente di autunno del 2001. Però il giorno esatto può essere rilevante. È il 15 ottobre del 2001. In quel giorno si annodano, con una sorprendente coincidenza, tre avvenimenti. Nicolò Pollari, nominato dal governo il 27 settembre, assume la direzione del Sismi dopo essere stato il numero due al Cesis (organismo di coordinamento dell'intelligence a Palazzo Chigi). Silvio Berlusconi viene finalmente ricevuto a Washington da George W. Bush. Porta quella data, 15 ottobre, il primo rapporto della Cia sulle evidenze in possesso degli italiani. Nulla si può dire di questa coincidenza se non prendere atto di una circostanza: gli italiani hanno una dannata voglia di darsi da fare. Berlusconi ha avuto difficoltà, dopo l'infelice sortita sullo "scontro tra civiltà", a farsi ricevere da una Casa Bianca alle prese con i regimi arabi moderati. Pollari ha l'ambizione di mettersi subito in sintonia con il premier e il nuovo corso. Il fresco capo dell'unità sulle "Armi di Distruzione di Massa" al Sismi, il colonnello Alberto Manenti (superiore gerarchico di Antonio Nucera) ha voglia di mettersi in sintonia con il nuovo direttore. È un fatto che mentre Bush mostra a Berlusconi il giardino delle rose della West Wing, la Cia prende atto, come scrive Russ Hoyle (per un anno ha analizzato le conclusioni delle commissioni di inchiesta del parlamento americano) che l'intelligence italiana ha una notizia con i fiocchi: "Negoziati (Niamey/Bagdad) circa l'acquisto di uranio sono in corso a partire dall'inizio del '99 e che la vendita è stata autorizzata dalla Corte di Stato del Niger nel 2000". Non viene citata alcuna prova documentale in grado di dimostrare che la spedizione di uranio effettivamente sia avvenuta. Gli analisti della Cia considerano questo primo rapporto "assai limitato" e "privo di dettagli necessari". Analisti dell'INR (Intelligence and Research) del Dipartimento di Stato qualificano le informazioni "altamente sospette".
Il primo impatto con la comunità dell'intelligence americana non è per Pollari gratificante, per così dire, e tuttavia è utilissimo. Il direttore del Sismi, che non è un fesso, fa presto a ricostruire geografia e primattori del sordo conflitto in corso nell'amministrazione americana tra chi (Dipartimento di Stato, Cia) invoca prudenza e pragmatismo e chi (Cheney, Pentagono) chiede soltanto l'opportunità per dare il via a una guerra già pianificata. D'altronde, al rientro in Italia il direttore del Sismi verifica che anche a Roma è rappresentato quel conflitto. Gianni Castellaneta gli consiglia di guardare anche "in altre direzioni", mentre il ministro della Difesa Antonio Martino lo invita a ricevere "un vecchio amico dell'Italia". L'amico americano è Michael A. Ledeen, una vecchia volpe dell'intelligence "parallela" Usa, già dichiarato dal nostro Paese "indesiderabile" negli anni Ottanta. Ledeen è a Roma per conto dell'Office for Special Plans, creato al Pentagono da Paul Wolfowitz per raccogliere intelligence che sostenga l'intervento militare in Iraq. Racconta a Repubblica una fonte di Forte Braschi: "Pollari, per quelle informazioni sull'uranio, ottiene dal capo della stazione Cia di Roma, Jeff Castelli, soltanto freddezza. Castelli, apparentemente, lascia cadere la storia. Pollari capisce l'antifona e ne parla con Michael Ledeen...". Non si sa che cosa mosse Michael Ledeen a Washington. Ma, all'inizio del 2002, Paul Wolfowitz convince Dick Cheney che la pista dell'uranio intercettata dagli italiani va esplorata fino in fondo. Il vicepresidente, come racconta il Senate Selected Committee on intelligence, chiede ancora una volta alla Cia "con molta decisione" di saperne di più del "possibile acquisto di uranio nigerino". In quel meeting, Dick Cheney dice esplicitamente che questo brandello di intelligence è a disposizione di "un servizio straniero".
È stata l'intelligence parallela del Pentagono a distribuire le "nuove informazioni", secondo le quali "esiste un accordo del Niger con l'Iraq per la vendita di 500 tonnellate di uranio all'anno". I tecnici del Dipartimento sorridono dell'informazione. 500 tonnellate di uranio. Una quantità iperbolica. La notizia è palesemente priva di qualsiasi attendibilità. Tutti i report indipendenti, sollecitati dopo la "nota italiana", avvertono che le due miniere nigerine di Arlit e Akouta non sono in grado di estrarre più di 300 tonnellate l'anno. Ma i tempi sono quelli che sono. George Tenet, azzoppato dai buchi di intelligence dell'11 settembre, fa buon viso a cattivo gioco e diventa addirittura sordo quando l'intelligence del Dipartimento di Stato, come racconta a Repubblica Greg Thielmann, gli oppone che "le informazioni raccolte in Italia sono inconsistenti. Che la storia dell'uranio nigerino è falsa. Che un mucchio di cose che ci sono state riferite sono fasulle".
"Pollari è furbissimo - dicono ancora a Forte Braschi - capisce che, per spingere la storia dell'uranio, non può affidarsi soltanto alla Cia. Deve lavorare, come indicano Palazzo Chigi e Difesa, con il Pentagono e con il consigliere per la Sicurezza nazionale, Rice". L'affermazione potrebbe essere soltanto maligna (il mondo delle spie spesso lo è), ma conferme del "canale alternativo" che Pollari crea a Washington si possono afferrare con un'immagine e un incontro.
L'immagine è questa. Pollari è a Washington. Incontra George Tenet e, come spesso capita, le presentazioni vengono santificate nella sala riservata di un hotel nei pressi di Langley. Chi ha assistito al convinvio racconta a Repubblica: "Pollari non deve fidarsi troppo del suo inglese perché sistema tra lui e il direttore della Cia una signora che gli fa da interprete. Con qualche esito imbarazzante. George, per familiarizzare, rivela alcune informazioni su Al Qaeda e l'Italia che l'Agenzia ha raccolto tra i prigionieri di Guantanamo. Tenet si attende perlomeno un sorriso, se non un grazie. Ne ricava soltanto una faccia di pietra. Se ne dispiace, prima. Ne diffida, poi. Ma quel che colpisce tutti, intorno a quel tavolo, è l'assoluta marginalità in cui Pollari tiene il suo capocentro a Washington". Questa estraneità è interessante. In quel 2002, il capocentro Sismi a Washington è l'ammiraglio Giuseppe Grignolo. Ha un'esperienza importante nella proliferazione delle armi di distruzione di massa, rapporti eccellenti con la Cia e soprattutto la stima del n. 2 dell'Agenzia, Jim Pavitt. Ricorda una fonte di Forte Braschi: "In realtà, noi vogliamo tener fuori la Cia dal nostro lavoro e Pollari non si fida di Grignolo, lo giudica troppo vicino a Langley. Così gli tace ogni mossa. Lo costringe, per dire, a occuparsi inutilmente della fedina penale dei nuovi assunti al Servizio che hanno magari trascorso qualche anno negli States... I contatti più significativi, in quei mesi, passano altrove. Attraverso Gianni Castellaneta con Condi Rice e, attraverso Ledeen, con l'Office for Special plans di Paul Wolfowitz e Doug Feith. È Castellaneta che fissa l'incontro di Pollari negli uffici del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca". Quando, e di che cosa parlano? "Di che cosa volete che parlino nell'estate del 2002? Di armi di distruzione di massa". La data dell'incontro? "Questa la tengo per me... e comunque basta controllare nei registri del Cai i piani di volo Ciampino-Washington".
A Roma difficile ottenere quei piani di volo. Maggiore fortuna si ha a Washington. Un funzionario dell'Amministrazione dice a Repubblica: "Posso confermare che il 9 settembre del 2002, il generale Nicolò Pollari incontrò Stephen Hadley, il vice dell'allora consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice".
Come il 15 ottobre del 2001, anche il 9 settembre del 2002 è una data che propone qualche coincidenza. In quelle ore, è in chiusura il numero di Panorama che sarà in edicola con la data 12/19 settembre 2002. È una consuetudine, nell'"affaire yellowcake", ricordare che il "postino" del Sismi, Rocco Martino, contatta in ottobre una giornalista del settimanale - diretto allora da Carlo Rossella - per venderle i documenti dell'imbroglio. Nessuno ricorda che, nel numero 12/19 settembre 2002, in coincidenza dunque dell'incontro segreto di Pollari con Hadley, Panorama trova uno scoop planetario. Titolo: "La guerra? È già cominciata". Racconta di "un carico di mezza tonnellata di uranio". Si legge nell'articolo: "Gli uomini del Mukhabarat, il servizio segreto iracheno, lo hanno acquistato attraverso una società di intermediazione giordana nella lontana Nigeria, dove alcuni mercanti lo avevano contrabbandato dopo averlo trafugato dal deposito nucleare di una repubblica dell'ex Urss. I 500 chili di uranio sono poi approdati ad Amman, e da qui, via terra, dopo sette ore di viaggio, hanno raggiunto la destinazione: un impianto a 20 chilometri a nord di Bagdad, denominato Al Rashidiyah, noto per la produzione e il trattamento del materiale fissile". E più avanti: "... L'allerta riguarda la Germania, dove negli anni passati l'Iraq ha cercato di acquistare dalla società "Leycochem" tecnologia e componenti industriali... e anche i richiestissimi tubi di alluminio per le centrifughe a gas".
Anche se in un contesto inesatto (Nigeria e non Niger, un lapsus calami?) e in qualche tratto favolistico (contrabbando dall'ex-Urss all'Africa con camion), quel che conta osservare è che, nelle rivelazioni di Panorama, la ricetta, per dir così, ha già tutti gli ingredienti giusti che poi porteranno alla guerra: 500 tonnellate di uranio che dall'Africa raggiungono Bagdad; tubi di alluminio per centrifughe nucleari. Sembra di poter ragionevolmente osservare che lo schema che si vede al lavoro in Italia è sovrapponibile senza sbavature al modulo che sostiene negli Usa l'affare Cia-gate/New York Times. Il governo chiede. L'intelligence dà. I media diffondono. Il governo conferma. È una tecnica di disinformazione vecchia come la Guerra Fredda. Esagerare la pericolosità del nemico. Terrorizzare e convincerne l'opinione pubblica. Con un'aggravante in casa nostra. Il magazine che diffonde le notizie avvelenate è di proprietà del presidente del Consiglio che governa l'intelligence e vuole essere e apparire il miglior alleato di George W. Bush, ansioso di andare in guerra.
Si può ora dire che, preparato così il terreno, Pollari può concentrarsi su un altro aspetto essenziale della manovra. Promuovere il Sismi e se stesso, incassando i ricavi dell'oscuro lavoro di un anno. Accecare il Parlamento con notizie prudentemente manipolate e con rivelazioni che richiederebbero finalmente una ricostruzione attendibile, documentata, e non il muro del segreto di Stato (che sarà opposto da Gianni Letta il 16 luglio del 2003).
Al ritorno dall'incontro segreto con Hadley, Pollari viene ascoltato dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Le audizioni sono due. Nella prima, il direttore del Sismi sostiene: "Non abbiamo prove documentali, ma informazioni che un Paese centro-africano ha venduto uranio puro a Bagdad". Trenta giorni dopo, Pollari dice: "Abbiamo le prove documentali dell'acquisto di uranio naturale da parte dell'Iraq in una repubblica centro-africana. Ci risulta anche il tentativo iracheno di acquistare centrifughe per l'arricchimento dell'uranio da industrie tedesche e forse italiane". Uscito dal Parlamento, Pollari ha ancora il problema di veicolare verso Washington, senza lasciare alcuna impronta digitale, il documento farlocco. Gli viene incontro una circostanza molto fortunata. Il "postino" del Sismi Rocco Martino, che ha già bussato alla porta dell'MI6, contatta l'inviata di Panorama Elisabetta Burba e tenta di venderle il dossier. È un'idea del vendifumo o una sollecitazione di Antonio Nucera o di chi? La Burba, correttamente, controlla l'informazione in Niger. Si inventa un'inchiesta di copertura sui dinosauri, dall'Oranosaurus nigeriensis all'Afrovenator abakensis.
Nel frattempo avvicina qualche attendibile fonte. Elisabetta fa quel che deve con rigore e tenacia. Conclude che quella storia non sta in piedi e non pubblica una riga. Ma tutto, in realtà, è già accaduto, perché il direttore del settimanale, Carlo Rossella, entusiasta di aver forse trovato, come dice al suo staff, la "smoking gun", l'ha spedita a consegnare quelle carte all'ambasciata americana, scelta come "la più alta fonte di verifica". Pollari avverte il giornale del presidente del Consiglio, fresco dello scoop sull'uranio, che quella roba è robaccia? A quanto pare, no. Così, Jeff Castelli e la Cia si ritrovano nelle mani la frittata malfatta che, già da un anno, si rifiutano di assaggiare. Sono carte così truffaldine che possono essere soltanto nascoste, se non si vogliono mortificare le attese di Dick Cheney. L'arrivo delle carte a Washington viene come "silenziato". Sono distribuite il 16 ottobre 2002 alle diverse agenzie di intelligence da funzionari del Dipartimento di Stato durante uno dei regolari meeting cui prendono parte quattro funzionari della Cia. Nessuno di loro è in grado di ricordare se le avesse o meno ottenute. Misteriosamente, a Langley, le "carte italiane" si "perdono" per tre mesi e, soltanto dopo un'indagine interna dell'Ispettorato generale, se ne ritrova una copia nella cassaforte dell'Unità Controproliferazione. È il primo affondo italiano. La "bufala" dell'uranio raddoppia con la frottola dei tubi di alluminio. Ma questa è un'altra storia.